Devo ammettere che non ho mai amato la fantascienza in quanto tale. Non la consideravo esattamente il mio genere. Poi, di recente, mi è capitato tra le mani “Io, robot” di Isaac Asimov, uno dei più grandi scrittori di fantascienza ma anche uno studioso di nuove tecnologie e un ottimo divulgatore scientifico. “Io, robot” è del 1950 ma sembra scritto ieri, anzi oggi. Ha anticipato di oltre mezzo secolo la realtà attuale, con l’avvento della robotica utilizzata nell’Industria 4.0 e non solo. Un vero visionario, preciso, divertente e profondo.
Ma l’aspetto veramente interessante di questa raccolta di racconti è che di fatto si occupa di etica della tecnologia. I robot sono utili all’uomo, vengono programmati dall’uomo, ma a volte sbagliano, si confondono, vanno in tilt, fanno cose strane, diventano minacce. Perché? Non certo perché hanno un’anima, quella è ancora nostro monopolio, per fortuna, sembra dire Asimov. Quando qualcosa non va bene, è perché l’uomo ha fatto errori di programmazione.
Non dobbiamo temere i robot, ci dice lo scrittore: dobbiamo temere noi che programmiamo i robot. I loro errori sono in realtà, in primis, i nostri.
Etica, dunque. Che altro dire?